Palazzo Valle, Catania
Maria Antonietta Spadaro
Nel panorama assai critico dell’arte di oggi, davanti a figure ormai storiche del contemporaneo, quali Alberto Burri (1915-1995) e Lucio Fontana (1899-1968), bisogna inchinarsi.
La mostra di Palazzo Valle a Catania, curata da Bruno Corà, ci consente di rileggere l’opera di questi maestri che sconvolsero i canoni della comunicazione artistica contribuendo ad aprire nuovi orizzonti sull’interpretazione del reale.
Nelle loro opere non leggiamo ironia, vuoti giochi formali, trovate sorprendenti (ma a volte poco significanti) come ormai siamo abituati a vedere troppo spesso nell’inquieto panorama internazionale dell’arte di oggi.
Le opere di questi maestri, che pure vengono ripresi da tanti epigoni, esprimono, attraverso autentiche ‘sofferenze’ della materia e della forma, emozioni che ci toccano profondamente.
Burri e Fontana – è stato giusto accomunarli in una stessa mostra nonostante le chiare differenze tra le due personalità – hanno esplorato inedite possibilità della materia e della forma contribuendo a definire nuove valenze estetiche, proprie del loro tempo: hanno espresso valori nell’ambito della sfera culturale ormai ineludibili. Superati gli anni di scettica accoglienza con accuse di astrusità, di significati arcani e incomprensibili, essi sono ormai acclamati nel panorama internazionale quali maestri indiscussi della grande svolta dell’arte del dopoguerra.
La materica fisicità delle opere sfidava all’epoca (fine anni ’40-primi anni ’50) il concetto dell’arte come mimesi, sulla tela o nella tridimensionalità scultorea. I sacchi, il catrame e le bruciature di Burri e i buchi e i tagli di Fontana proponevano, per la prima volta, un modo di intendere la materia e lo spazio in termini di espressività assoluta.
Fontana nel ’51 ‘mette in scena’ alla IX Triennale di Milano, con l’architetto Luciano Baldessari, quel magico ghirigoro al neon, sulla famosa scalinata del palazzo, creando un Concetto spaziale di straordinaria novità, in sintonia con il suo interesse per le tecnologie del tempo come il neon e la nascente televisione. La riproduzione dell’opera presente in mostra (insieme ai disegni di progetto) benchè decontestalizzata , mantiene intatto il suo valore (anche per aver anticipato l’esteso uso che in seguito è stato fatto del neon nell’arte, da Nauman a Merz, da Kosuth a Calzolari, ecc.).
La selezione delle opere dell’artista, esposte a Catania, propone altri capolavori quali i rossi, Concetto spaziale. I Quanta del 1960, nonché i tagli, i buchi, i teatrini, le sculture in bronzo o in terracotta (Natura). Quest’ultime ci appaiono come materie non terrestri, trovate altrove, forse in altri mondi, e violentate da misteriosi buchi e squarci.
Se per Fontana il “concetto spaziale” era una proiezione verso il futuro, forse il desiderio di esplorare l’ignoto e il cosmo, per Burri l’indagine sulla materia è molto terrena e vicina , per quanto incredibile, all’uomo – non dimentichiamo che Burri era un medico. Il maestro di Città di Castello, nell’arcano manipolare logore tele di sacco, nella sofferta combustione di plastiche, nel far nascere le fenditure aride di un cretto, sembra indicare la prossima fine di una civiltà, della sua storia. Persino le opere Nero, oro, nell’assoluto contrasto luce/tenebre , sembrano alludere al lento entropico esaurirsi della vita o dell’umanesimo.
Per tali ragioni l’opera siciliana di Burri, il Cretto di Gibellina – la più grande opera di Land-art in Italia –, ha espresso meglio di qualsiasi altra cosa il dramma della fine di un paese a causa del tremendo sisma del 1968.
La mostra, così sinteticamente delineata, è da ammirare anche per l’impeccabile allestimento che rende gradevole il percorso espositivo, facendo cogliere i fili sottili che connettono le esperenze dei due maestri dell’arte italiana del XX secolo.
La mostra è visitabile fino al 14 marzo 2010. www.fondazionepuglisicosentino.it
Burri e Fontana. Materia e spazio, mostra a cura di Bruno Corà, Catania Palazzo Valle, Catalogo Silvana Editoriale, Milano 2009
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